

Quante volte ti capita di darti delle etichette quando parli di te stesso? “Sono negato per il canto”, “No ho la vena artistica”, “Non potrei mai rinunciare a…”, “Sono pigro e lo sport non fa per me” , ecc.
Ogni volta che fai delle affermazioni perentorie su di te, ti neghi la possibilità anche solo di pensare che potresti essere altro.
Perché tendiamo a darci delle etichette?
Definirsi, in qualche modo, significa marcare un confine, la cosidetta zona di confort, entro la quale troviamo le nostre sicurezze e tutto ci sembra alla nostra portata.
Provare a vedere sé stessi in un altro modo, ci costringe ad uscire da quei confini, richiedendoci uno sforzo e mettendoci di fronte alla possibilità di fallire.
Ogni volta però, che sfidiamo le nostre paure e le nostre credenze limitanti, la nostra autostima cresce e insieme a lei anche la nostra sicurezza. Quindi vale la pena di provarci.
Mettersi in gioco e scoprirsi capaci
Ti faccio un esempio personale. Ho sempre pensato di non essere una persona sportiva, non amo sudare e fare fatica e l’etichetta che mi sono affibbiata da sola è che “Lo sport non fa per me”.
Qualche mese fa, per caso, ho scoperto che esiste il Wanderlust Mindfulness Triathlon.
Triathlon è una parola che io associo quasi al concetto di follia, quindi non è certo quella che mi ha attirato.
Diversa presa ha avuto su di me la parola Mindfulness e per questo mi sono informata in cosa consistesse il programma: 2 sessioni di yoga da 45 minuti, 30′ di meditazione e… udite, udite 5 chilometri di corsa. Il tutto in pieno centro a Milano in una giornata tutta costruita attorno al benessere. L’idea mi allettava ma i 5 km erano un ostacolo. Io, la non sportiva per eccellenza, che corre per 5 km! Che fare dunque?
Ho deciso che, nella peggiore delle ipotesi, avrei caminato e mi sarei comunque goduta la giornata. Certo a quel punto, valeva almeno la pena di provare a farli di corsa. Ho scritto ad una amica e dopo mezzora ci siamo iscritte alla giornata.
Questo succedeva a fine giugno e quello è stato il mio punto zero della corsa. Siamo a metà settembre e ora correre 5 km, non solo non è più un’impresa impossibile come la immaginavo mesi fa, ma ho già alzato il tiro puntando ai 10 km.
Cosa ho fatto di diverso:
- Ho iniziato con gradualità e senza aspettative troppo alte
- Ho dato fiducia al mio corpo e ho ascoltato le sue reazioni allo sforzo invece di evitarle.
- Mi sono fatta aiutare da un’ amica, perchè sapevo che da sola non ce l’avrei fatta.
- Mi sono data la possibilità di cambiare idea su quello che ho sempre creduto di me (Sono pigra, lo sport non fa per me) e sulla corsa, passando dal vederla come una sofferenza a viverla come una sfida divertente con me stessa.
Cosa ho imparato:
- Quando ci mettiamo alla prova scopriamo di noi cose nuove
- Abituare il corpo allo sforzo fisico è una cosa relativamente semplice
- Abituare la mente a superare le proprie credenze limitanti è già più difficile, ma è comunque fattibile e dà grande soddisfazione quando si riesce
- Possiamo essere qualsiasi cosa decidiamo di essere, e io da oggi ho iniziato a credere di essere un po’ sportiva.
Questa è la mia esperienza, tu quale etichetta limitante ti sei dato e in che modo questa credenza rappresenta un ostacolo forte ad un cambiamento che magari desideri?